In questi giorni è rimbalzata sui alcuni giornali italiani la notizia secondo cui il virus Covid-19 avrebbe la capacità di raggiungere ed insiedarsi all’interno dei testicoli dell’uomo e questo determinerebbe una maggior mortalità nel genere maschile rispetto alla popolazione femminile.
Questa notizia è stata ripresa da una ricerca condotta da un team di ricercatori diretti dal presidente del dipartimento di Epidemiologia dell’Albert Einstein College of Medicine di New York. In questo studio è stato analizzato un campione di 68 persone, composto da 48 uomini e 20 donne, con tampone naso-faringeo positivo per infezione da Covid 19. Il disegno dello studio prevedeva l’esecuzione di tamponi naso-faringei seriati, a partire dal primo tampone positivo e con un intervallo di circa 48 ore, fino alla comparsa del primo tampone negativo.
Andando ad analizzare questi dati, è stato osservato che gli individui maschi del campione studiato, avevano i tamponi positivi per un tempo statisticamente più lungo della popolazione femminile.
Da questi dati i ricercatori traggono delle conclusioni abbastanza fantasiose secondo cui questa differenza è causata dal fatto che il virus abbia la capacità di colonizzare i testicoli degli uomini, diventando quest’ultimi una sorta di serbatoio del virus.
A supporto della loro tesi, sostengono che i testicoli esprimono i recettori ACE2 che sono stati riconosciuti come i recettori usati dal virus per entrare all’interno delle cellule.
Ora, andando ad approfondire in modo scientifico e oggettivo i metodi di questa ricerca, ci appaiono subito evidenti un paio di errori metodologici importanti che la rendono decisamente poco attendibile.
In primo luogo, il campione è di dimensioni molto esigue, 68 individui non sono sicuramente un campione rappresentativo della popolazione generale. Ma ancora di più, le nostre perplessità nascono dalla composizione del campione: la popolazione maschile, infatti, rappresenta più dei 2/3 dell’intero campione, non permettendo, quindi, un confronto adeguato tra popolazione maschile e femminile.
Altra grande perplessità ci nasce dalla mancanza di una possibile spiegazione fisio-patologica delle loro conclusioni. Se è vero che i recettori ACE-2 sono stati identificati come i recettori attraverso cui il virus entra nelle cellule polmonari e anche vero che, proprio a livello polmonare, quest’ultimo crea danni molto importanti. Perché, se il virus ha la capacità di entrare nelle cellule del testicolo umano, non crea anche qui danni? Fino ad adesso non è stato mai segnalato nessun caso di orchite o di altra patologia infettiva del testicolo, com’è possibile questo?
Mi sembra quindi che ci siano parecchi spunti di riflessioni che ci fanno essere molto scettici sulle conclusioni di questa ricerca.
Volendo sorridere, mi viene in mente una storiella che ripeto spesso ai miei collaboratori: la cimice come sapete ha sei zampette, uno scienziato vuole vedere cosa succede alla cimice staccandole le zampette, ne stacca una e la cimice salta, ne stacca un’altra e la cimice salta di nuovo, stacca via via ogni zampetta ed ogni volta la cimice salta, arrivato alla sesta ed ultima zampetta, la stacca ma la cimice non salta, lo scienziato conclude: la cimice è diventata sorda!!
La modalità con cui i ricercatori hanno tratto le conclusioni mi sembra assimilabile a quella dello scienziato della storiella. In ambito medico bisogna fomentare ed incoraggiare qualsivoglia ricerca che possa portare a delle nuove conoscenze ma, queste devono essere condotte secondo un metodo scientifico valido. Come diceva il fondatore del metodo scientifico Galileo Galilei, bisogna far seguire alle “sensate esperienze” le “dimostrazioni necessarie”; in questo caso, ci sentiamo di poter dire, che quest’ultime non vengono fornite
E’ quindi evidente come non ci si possa basare su questo studio per poter concludere che il virus possa colonizzare i testicoli e, ancor di più, affermare che questa è la causa della maggior mortalità del genere maschile.
Questa è invece ascrivibile a numerosi fattori, tra cui la maggior presenza di fattori di rischio cardiovascolare tra cui ipertensione e obesità nei pazienti di sesso maschile e probabilmente, nelle differenze genetiche del sistema immunitario fra i due sessi.