L’insufficienza cardiaca, o scompenso cardiaco, è una delle patologie
più diffuse al mondo ed una delle problematiche cliniche di più
difficile risoluzione, la cui incidenza è destinata ad aumentare
notevolmente nella prossima decade a causa all’invecchiamento della
popolazione, soprattutto nei paesi industrializzati. L’insufficienza
cardiaca si contraddistingue per essere una sindrome clinica complessa,
in grado di ridurre la capacità funzionale e la qualità della vita dei
soggetti che ne sono affetti, con tassi di mortalità elevatissimi,
superiori a quelli del cancro.
In Italia, oltre un milione di persone ne è affetto di cui la metà
circa muore entro 5 anni dalla diagnosi. L’insufficienza cardiaca causa
165 mila ricoveri l’anno, dove un paziente su 10 non sopravvive, mentre,
entro i primi 12 mesi dalla dimissione, 3 pazienti su 10 muoiono e più
del 50% dei pazienti viene ri-ospedalizzato. Inoltre, sotto il profilo
socioeconomico, l’ospedalizzazione e i trattamenti per l’insufficienza
cardiaca rappresentano un’importante voce di spesa sanitaria: più di 600
milioni di euro l’anno a carico del sistema sanitario nazionale
italiano. Tutto questo spiega l’urgenza di introdurre misure volte a
contrastare e rallentare quella che va configurandosi come l’epidemia
del nuovo millennio.
È stato dimostrato, infatti, che una parte dei decessi e delle
ri-ospedalizzazioni per insufficienza cardiaca è dovuta alla mancata o
erronea stratificazione del rischio che, a sua volta, comporta una
sovrastima, o nel peggior caso ad una sottostima, della gravità del
quadro clinico. Ciò determina inoltre una mancata applicazione delle
misure diagnostico-terapeutiche, con il conseguente peggioramento
prognostico, con una riduzione dei tassi di sopravvivenza.
Da queste considerazioni deriva la necessità di effettuare una
stratificazione prognostica che sia la più accurata possibile, al fine
di poter rispondere, con le modalità più appropriate, alle esigenze di
cura del singolo paziente.
Sappiamo bene come nell’insufficienza cardiaca la patologia inizi nel
cuore coinvolgendo successivamente i polmoni, anatomicamente e funzionalmente
considerabili come delle stazioni linfonodali, ed estende le sue manifestazioni
agli organi sistemici, come il rene, il fegato, il sistema nervoso centrale e
il sistema ematopoietico, fino ad arrivare alla cachessia cardiaca. Pertanto
esistono notevoli analogie con la malattia tumorale e la sua storia naturale:
il tumore origina in un singolo organo per poi estendersi agli organi contigui
e, successivamente agli organi anche distanti (metastasi) fino ad arrivare alla
cachessia neoplastica.
Partendo da queste considerazioni, ci è venuto in mente di applicare alla
cardiologia la ben nota classificazione TNM usata in oncologia per stadiare i
tumori. La nuova classificazione clinico-prognostica per l’insufficienza cardiaca,
chiamata HLM, prevede il parametro “H”, “heart”, che valuta il cuore, in
analogia alla “T” di tumore della TNM, il parametro “L”, “lungs”, per valutare
il coinvolgimento dei polmoni, i linfonodi del cuore sempre in analogia alla TNM,
e il parametro “M” per la valutazione del malfunzionamento degli altri organi,
ricordando il significato etimologico del termine metastasi: spostamento a
distanza.
È attualmente in corso uno studio clinico prospettico multicentrico, in
cui sono stati arruolati più di 1500 pazienti affetti da insufficienza cardiaca
e i cui risultati preliminari, recentemente presentati al congresso annuale
dell’American College of Cardiology, dimostrano come HLM sia superiore,
rispetto alle classificazioni finora utilizzate in ambito cardiologico (classificazione
NYHA e la classificazione proposta dall’American College of Cardiology e
American Heart Association), nell’identificare il rischio a 12 mesi di
riospedalizzazione e di morte cardiovascolare. In particolare, rispetto alle
classificazioni NYHA e ACC/AHA, HLM è in grado di stratificare in maniera più
precisa l’evoluzione del paziente considerando: 1) gli stadi iniziali in cui
possono essere impiegate terapie tradizionali e meno costose; 2) gli stadi
avanzati in cui l’impiego di terapie farmacologiche innovative e più costose
possono condurre ad un reale beneficio e infine 3) gli stadi terminali in cui
saranno necessarie cure di tipo palliativo, volte principalmente al
miglioramento della qualità più che della quantità di vita del paziente.
Grazie all’integrazione di molteplici variabili, HLM fornisce al medico e
al cardiologo uno strumento utile a formulare un giudizio più comprensivo e
prognosticamene più corretto sulla storia naturale di malattia rispetto alle
altre classificazioni che appaiono orientate esclusivamente al cuore senza
considerare il coinvolgimento di tutto l’organismo.